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Maternità, paternità, nonnità

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Divagazioni sorridenti e seriose di una pluri-nonna

C’era una volta la famiglia patriarcale. Nella civiltà rurale che ha contraddistinto l’Italia almeno fino agli Anni Cinquanta, il modello prevalente di famiglia era quello patriarcale. In campagna si stava tutti nella grande cascina con l’aia e il ruolo di capo-famiglia spettava ai nonni, più marcatamente alla nonna. A lei toccava amministrare il bilancio famigliare (scarso), stabilire quale frutta e verdura consumare, organizzare il lavoro domestico, impartire ordini a figli e figlie, nuore, nipoti.
Anche nei ceti elevati, magari in un palazzo invece che in cascina, ma secondo una struttura gerarchica al cui vertice stavano i nonni. Se il nonno non guidava la famiglia, probabilmente era perché era morto.
Il ruolo dei nonni nella famiglia contadina (in alcune zone del Piemonte la nonna era detta “La Granda”) risalta molto bene in alcuni romanzi di successo negli ultimi anni: Canale Mussolini di Pennacchi, Otel Bruni di Manfredi ….
In un sistema in cui l’istituzione prevaleva sulle persone e le regole di vita prescindevano dalle aspirazioni di ognuno, forse diventare nonni non comportava una particolare emozione: faceva parte del sistema, era la famiglia che continuava.
Oggi i figli (se non abitano già per conto loro) lasciano la casa paterna con il matrimonio. I genitori si ritrovano in due e reagiscono in modi eterogenei: chi soffre la sindrome del nido vuoto, chi proclama “finalmente me li sono tolti di torno”, chi pensa (ma non dice) “dopo trent’anni che cucino per quattro persone, adesso, alla domenica, dovrò cucinare anche per la nuora e il genero”, chi (è ovvio che mi metto in questa categoria) dice apertamente: sono contenta che abbiano trovato la loro strada con dei tesori di mogli, ma mi mancheranno le risate, le scemenze, le canzoni con la chitarra, il pianoforte, la loro presenza, insomma”.

Quando il ruolo di genitori-suoceri sfocia nel nuovo ruolo di nonni, la prima reazione è una emozione indicibile, più forte  forse di quando ho saputo che sarei diventata mamma per la prima volta. Perché dico questo? Non lo so esattamente, ma lo sento. Forse perché quando abbiamo scoperto che stavamo diventando genitori, non sapevamo ancora che cosa fosse un figlio. Adesso lo sapevamo invece e io avrei voluto illustrare a figlio e nuora il miracolo che stava accadendo. Ma sarebbe stato un grosso sbaglio, soprattutto sarebbe stato inutile. Quel miracolo debbono scoprirlo loro, passo dopo passo.
Dopo il primo momento di commozione dolcissima, i futuri nonni si pongono il problema di come essere utili ai futuri genitori, senza essere invadenti.
Per la nonna materna è più facile, la giovane in gravidanza è sua figlia, lei la conosce, ha la confidenza necessaria per starle vicino senza soffocarla.
La nonna paterna, invece, nel suo desiderio di non apparire indifferente rischia di trasformarsi in un incubo, di voler risolvere tutti i problemi grazie alla sua “collaudata esperienza” (Quattro figli, vuoi mettere? E come li ha allevati bene!).
Questo tipo di suocera vuole scegliere la clinica, il ginecologo, (guarda che la Cicci, come, non sai chi è la Cicci? È la nipote della Pinin e ha un dottore favoloso); insinua che la nuora farebbe bene  a lasciare il lavoro (ne avrai, in casa, vedrai) e avanti di questo passo.
Quando il bambino nasce, la nonna chiede ogni tre giorni  di quanto è aumentato e se l’aumento non corrisponde alle tabelle in uso trent’anni fa, lei telefona a due o tre pediatri per avere un consiglio. Due o tre pediatri di sua fiducia ovviamente, mica il pediatra scelto da quei due che è notoriamente un asino.
Perché è un asino? Perché non capisce che il bambino aumenta troppo poco, mentre “ i miei crescevano di 200-250 grammi alla settimana, mai meno, ma io non ero nervosa”.

 

Ho descritto una nonna macchietta? Certamente, ma vorrei evidenziare un fatto: questa nonna ridicola e invadente, che vuole monitorare la vita altrui, è anche molto apprensiva e qui si merita un po’ di comprensione. L’apprensione dei nonni è il risvolto (sicuramente negativo) della tenerezza smisurata di fronte a quella piccola, meravigliosa creatura.

La “nonnità” (proporrò il vocabolo all’Accademia della Crusca) comporta quasi  inevitabilmente un certo risveglio dell’ansia, di quelle ansie che abbiamo conosciuto come genitori (chi più chi meno, dipende dal temperamento, si va dalla disinvoltura sempre e comunque, che è perfino un po’ irritante, al catastrofismo cronico). Invecchiando i difetti si acuiscono, ma anche le buone qualità per fortuna. La “nonnità” però comporta anche il risveglio della tenerezza, quella tenerezza che abbiamo provato per i nostri figli e che ora proviamo per quella cosina piccola, fragile, indifesa … Che desiderio di proteggerla, amarla, coprirla di attenzioni. Amare è la più grande gioia della vita. Nelle cose umane gioia e dolore sono sempre indissolubilmente legati. Chi non ama non soffre (se Gesù non ci avesse amati non avrebbe affrontato la croce), ma chi non vuole soffrire non ama davvero e chi non ama si nega la felicità. Amare un bambino poi è tanto spontaneo!

L’arrivo dei nipoti comporta necessariamente dei contraccolpi all’interno della coppia dei nonni. Contraccolpi positivi o negativi; di solito il bilancio è positivo.

Ci sono coppie che, dopo il matrimonio dei figli, si erano adagiate in un tranquillo tran-tran, senza grandi slanci, dove ognuno coltivava i suoi interessi. Capita che questa coppia si ricompatti per far fronte al nemico comune, ove il nemico è il migliore degli amici: ci sono questi piccoli adorabili vandali che chiedono di essere intrattenuti dai nonni; altrimenti si intrattengono da soli, saltando sui divani con forza vieppiù crescente, devastando con un certo impegno. Tanto di guadagnato per la coppia, non il tavolino rotto, ma il nuovo bellissimo impegno comune.

Poi capita che il nonno si senta trascurato, magari perché è trascurato davvero. Lui vorrebbe parlare con la moglie dell’ultimo libro che ha letto, ma la sua signora non c’è, sta imperversando in casa del figlio, stira, passa l’aspirapolvere, strappa il bambino dalla mani della nuora per cambiarlo, pulirgli il sederino, fargli “ghe ghe che carino”; confeziona manicaretti gustosi e sani perché la nuora allatta. A casa il nonno mangia pane e salame o quel che capita, tanto lui non allatta. Beh, qui ci vorrebbe un po’ di buon senso da parte di entrambi.

Se la coppia vive in armonia, l’arrivo dei nipotini non può che far del bene; la colonnina della felicità balza in alto.
E’ ovvio che i piccoli ci tolgono un po’ di libertà, come hanno fatto a loro tempo  i nostri figli, ma questi bambini che ti corrono intorno saltando e ridendo, come facevano i nostri figli tanto tempo fa, che quando meno te lo aspetti ti danno un bacio… beh, meritano bene che si sia un po’ meno padroni di se stessi. Danno molto più di quello che chiedono.
Per la coppia di coniugi nonni si tratta di una nuova stagione di quel “Costruire in Due” che è iniziato tanti anni fa. La presenza dei nipoti ci fa dire che la famiglia patriarcale non è tramontata del tutto, che un filo unisce le generazioni oggi come ieri. Non c’è più la grande casa comune, c’è ancora la grande famiglia.
E oggi, per il sollievo delle spose, la patriarca non impera più.

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