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Maternità, paternità, nonnità
Divagazioni sorridenti e seriose di una pluri-nonna
C’era una volta la famiglia patriarcale. Nella civiltà rurale che ha contraddistinto l’Italia almeno fino agli Anni Cinquanta, il modello prevalente di famiglia era quello patriarcale. In campagna si stava tutti nella grande cascina con l’aia e il ruolo di capo-famiglia spettava ai nonni, più marcatamente alla nonna. A lei toccava amministrare il bilancio famigliare (scarso), stabilire quale frutta e verdura consumare, organizzare il lavoro domestico, impartire ordini a figli e figlie, nuore, nipoti. Quando il ruolo di genitori-suoceri sfocia nel nuovo ruolo di nonni, la prima reazione è una emozione indicibile, più forte forse di quando ho saputo che sarei diventata mamma per la prima volta. Perché dico questo? Non lo so esattamente, ma lo sento. Forse perché quando abbiamo scoperto che stavamo diventando genitori, non sapevamo ancora che cosa fosse un figlio. Adesso lo sapevamo invece e io avrei voluto illustrare a figlio e nuora il miracolo che stava accadendo. Ma sarebbe stato un grosso sbaglio, soprattutto sarebbe stato inutile. Quel miracolo debbono scoprirlo loro, passo dopo passo. |
Ho descritto una nonna macchietta? Certamente, ma vorrei evidenziare un fatto: questa nonna ridicola e invadente, che vuole monitorare la vita altrui, è anche molto apprensiva e qui si merita un po’ di comprensione. L’apprensione dei nonni è il risvolto (sicuramente negativo) della tenerezza smisurata di fronte a quella piccola, meravigliosa creatura. La “nonnità” (proporrò il vocabolo all’Accademia della Crusca) comporta quasi inevitabilmente un certo risveglio dell’ansia, di quelle ansie che abbiamo conosciuto come genitori (chi più chi meno, dipende dal temperamento, si va dalla disinvoltura sempre e comunque, che è perfino un po’ irritante, al catastrofismo cronico). Invecchiando i difetti si acuiscono, ma anche le buone qualità per fortuna. La “nonnità” però comporta anche il risveglio della tenerezza, quella tenerezza che abbiamo provato per i nostri figli e che ora proviamo per quella cosina piccola, fragile, indifesa … Che desiderio di proteggerla, amarla, coprirla di attenzioni. Amare è la più grande gioia della vita. Nelle cose umane gioia e dolore sono sempre indissolubilmente legati. Chi non ama non soffre (se Gesù non ci avesse amati non avrebbe affrontato la croce), ma chi non vuole soffrire non ama davvero e chi non ama si nega la felicità. Amare un bambino poi è tanto spontaneo! L’arrivo dei nipoti comporta necessariamente dei contraccolpi all’interno della coppia dei nonni. Contraccolpi positivi o negativi; di solito il bilancio è positivo. Ci sono coppie che, dopo il matrimonio dei figli, si erano adagiate in un tranquillo tran-tran, senza grandi slanci, dove ognuno coltivava i suoi interessi. Capita che questa coppia si ricompatti per far fronte al nemico comune, ove il nemico è il migliore degli amici: ci sono questi piccoli adorabili vandali che chiedono di essere intrattenuti dai nonni; altrimenti si intrattengono da soli, saltando sui divani con forza vieppiù crescente, devastando con un certo impegno. Tanto di guadagnato per la coppia, non il tavolino rotto, ma il nuovo bellissimo impegno comune. Poi capita che il nonno si senta trascurato, magari perché è trascurato davvero. Lui vorrebbe parlare con la moglie dell’ultimo libro che ha letto, ma la sua signora non c’è, sta imperversando in casa del figlio, stira, passa l’aspirapolvere, strappa il bambino dalla mani della nuora per cambiarlo, pulirgli il sederino, fargli “ghe ghe che carino”; confeziona manicaretti gustosi e sani perché la nuora allatta. A casa il nonno mangia pane e salame o quel che capita, tanto lui non allatta. Beh, qui ci vorrebbe un po’ di buon senso da parte di entrambi. Se la coppia vive in armonia, l’arrivo dei nipotini non può che far del bene; la colonnina della felicità balza in alto. |