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Storie di genitori, storie di figli

. Posted in Esperienze

Alcuni genitori hanno accettato di raccontarsi per i lettori di Costruire in Due. Sono storie esemplari nella loro normalità: nessun record straordinario, nessuna auto-celebrazione, nessun eroismo se non quello, che è di tutti, di chi accoglie nella propria vita una nuova vita.

IL TEMPO DELL’ATTESA

La prima rivoluzione che ho dovuto affrontare con la gravidanza è avvenuta a livello psicologico. Probabilmente a causa dello scombussolamento ormonale, qualche settimana prima di sapere del mio stato interessante avevo iniziato a sentirmi con il morale letteralmente a terra. Nel momento in cui ebbi la notizia, mi sopraggiunse un senso di vera e propria sopraffazione al pensiero di ciò che mi attendeva: le visite, gli esami, i preparativi, l’annuncio alle persone ed ai colleghi, il parto, per non parlare della nuova vita (mia e altrui!) che avrei dovuto affrontare dopo il parto o di eventuali complicanze che avessero dovuto insorgere. Un grosso dubbio, poi, che avevamo sempre avuto con mio marito riguardava il futuro del piccolo in questo paese e in questo mondo tanto difficile. Ora mi sentivo come bloccata di fronte ad un evento tanto profondo e al senso di responsabilità che il ruolo di genitore implica e mi spaventava l’idea di affrontarlo. Paradossalmente, quando il medico mi confermò la gravidanza, fra le prime cose che gli chiesi fu: ”Posso sciare?”. Avevo necessità di sapere che potevo continuare a fare la vita di sempre. Una reazione incontrollabile, mio malgrado: avevamo desiderato un figlio da tempo. Era come se - pur consapevole della portata di quell’evento a lungo sognato – non ne percepissi che gli effetti limitanti, per di più ingigantendoli. Ero una mamma ora, e la lunga attesa propedeutica ad un concepimento non proprio facile richiedeva altri nove, pazienti mesi. E a seguire, molti, pazienti anni! Ma nonostante mi paresse di essermi preparata a lungo, ci volle ancora un bel po’ per entrare in questa nuova ottica. Di lì a poco, il mio fisico mi aiutò inviandomi i suoi segnali: una certa stanchezza e l’odiosa nausea, se da un lato furono ulteriormente limitanti da un punto di vista sociale, mi obbligarono a fermarmi e a fare mente locale su quello che stava succedendo in quel momento. Era proprio questo il punto: fino ad allora avevo pensato al futuro, mentre la nuova vita era diventata realtà, presenza. Era nei sintomi, mutevolissimi, che ogni giorno provavo. Era nel fisico, che lentamente cambiava. Era nell’ecografia che non vedevo l’ora di fare ogni mese. Tutto era mutante, tutto richiedeva accoglienza, pazienza, concentrazione, dedizione. Quando mi misi all’ascolto, assecondando quanto la Natura in millenni aveva preparato anche per me, iniziai a sentirmi davvero bene.
L’aspetto fisico non è che la manifestazione più evidente di quanto un figlio sconvolga l’esistenza. Anch’esso ha richiesto un’opera di paziente accettazione prima di giungere ad apprezzarsi ed infine, a nascita avvenuta, persino ad un senso di profonda nostalgia nei confronti di quella pienezza di vita conservata in sé per tanto tempo. Ricordo infatti questa sensazione, durante la prima ecografia dopo parto. Ma quante volte, soprattutto nei primi mesi, mi guardavo allo specchio con preoccupazione, non mi riconoscevo nella persona che ero pur non ritrovandomi nella nuova femminilità, di pari passo con il difficile riconoscimento nel nuovo ruolo. Questo può creare anche delle incomprensioni e delle fratture nella coppia, per mancata accettazione dell’uno, dell’altro o di entrambi. L’intimità di coppia, inutile dirlo, muta anch’essa. Con il nuovo nato poi - e certo non agevolata dai disagi del post parto – pare impossibile da recuperare.  Alla notizia della dismissione dall’ospedale, tra l’altro, ripiombai in un senso di paura che perdurò molti giorni: mi chiedevo come avrei potuto occuparmi del mio piccolo Matteo quando io per prima ero dolorante, affaticata e per di più completamente inesperta.
Nei primi due mesi è molto difficile ritagliarsi anche spazi minimi per se stessi. Nel momento in cui il piccolo finalmente dorme mezz’ora si deve scegliere tra il riposare a nostra volta e il fare una tra le mille altre cose lasciate in sospeso. Abituata ad uno stile di vita decisamente attivo e a svariati impegni in molti campi diversi oltre alla casa ed al lavoro, mi pareva innaturale concentrarmi su un solo compito.  Questo è stato un altro sforzo che ho dovuto compiere contro la mia volontà. Ho scoperto per contro la bellezza del dedicarsi alle assolute priorità di un altro essere vivente che dipende in tutto da noi e apprezzando in particolare la gioia e la fortuna dell’allattamento al seno.
Ora il piccolo Matteo ha tre mesi. Certo, la vita mia e di mio marito, sia come individui che come coppia, è decisamente diversa da quando c’è lui. Molti degli interessi che perseguivamo e delle cose che facevamo sono stati temporaneamente sospesi.  E’ l’intero senso della vita che è cambiato. Ora non vediamo l’ora di condividere con il nostro bambino le cose che facevamo, di portarlo nei luoghi e dalle persone a noi cari, di trasmettergli il nostro amore per la vita, di vederlo crescere. Da un lato serve molta organizzazione pratica, ma dall’altro sappiamo che è lui a dettare i ritmi a noi, che siamo noi a dover imparare qualcosa da lui ogni giorno.  Si è proiettati nel futuro, ma si vive al momento, soprattutto in questi primissimi mesi. E quando lui ci ha fatto il primo sorriso lasciandoci commossi ad osservarlo, tutto il mondo attorno a noi si è fermato, e quelle altre mille cose che avevamo da fare, la stanchezza, le insicurezze, tutt’ad un tratto non esistevano più.
In questi mesi pre e post nascita ci hanno aiutato e sostenuto altre coppie che come noi hanno avuto queste esperienze, le nostre famiglie e i professionisti dei percorsi di preparazione alla nascita. Grazie anche a tutti loro abbiamo imparato tanto e scoperto la condivisione del nostro nuovo ruolo di genitori, nei momenti felici come nelle immancabili difficoltà.

Elena

FAMIGLIA A CINQUE

Noi siamo in cinque. E cinque, con buona pace della matematica, è uno dei vari multipli di due. Sì perché prima di tutto viene una coppia normale, che si conosce, si fidanza e poi si sposa senza avere la minima idea di quando, come e quanto la famiglia sarà in grado di allargarsi. Certo il desiderio di avere dei figli era ben presente in entrambi quando abbiamo deciso di progettare e intraprendere la vita matrimoniale, ma il resto rimaneva piuttosto imprevedibile, finché…
Finché dopo soli 14 mesi dal matrimonio (Padre Muraro raccomanda un periodo di assestamento un po’ più lungo), è nato Pietro. “Il primo figlio è un’impresa titanica”: perfettamente d’accordo, per noi lo è stata. Tutto a un tratto non poter più dedicare del tempo all’Io e al Noi, fino a un attimo prima così prioritari, per dare la precedenza assoluta a Lui; un Lui “estraneo” alla coppia eppure imprescindibile da essa, che non ci faceva più dormire tranquillamente, mangiare tranquillamente, comunicare tranquillamente, viaggiare tranquillamente, frequentare gli amici tranquillamente ecc. Un Lui arrivato a rubarci il tempo libero e la calma, sostituendole con un corredo di cacchine-faccine-vomitini-sorrisini che abbiamo presto imparato a considerare irrinunciabile.
Talmente irrinunciabile che quando, passato poco più di un anno, stavamo cominciando a recuperare il sonno, il tempo, ad acquisire automatismi invidiabili e a perdere la memoria dei primi fatidici quaranta giorni, in modo quasi scontato, un po’ inconscio e un po’ telepatico, ci siamo imbarcati nel secondo viaggio: Leo è nato ventidue mesi dopo Pietro. Il bagaglio di esperienza maturata sul campo si confronta e si scontra con i dubbi e i timori legati alla reazione del primogenito nei confronti dell’”usurpatore”. Un vero e proprio senso di colpa si fa strada nella psiche del genitore, attenuato solo dalla consapevolezza di aver garantito al primo figlio un compagno di giochi full-time (per di più maschio!). Al di là di questo, ecco di nuovo sparito quel poco di tempo libero personale e di coppia faticosamente riconquistato, e con quello la tranquillità lentamente ricostruita. La ricompensa è un nuovo corredo, uguale ma diverso, di “neonatismi” che si pensava di aver riposto nella scatola del cambio di stagione e che invece si riscoprono con più entusiasmo e più consapevolezza. Poi arriva l’interazione dei due fratelli, da osservare con un misto di apprensione genitoriale e passione entomologica: dapprima goffa, poi tollerante, infine amichevole e persino amorevole.
E il terzo?
Il terzo, tanto più quando, come nel nostro caso, è stato cercato e voluto, è piuttosto difficile da spiegare. Diciamo che con Giosuè, nato quasi tre anni dopo Leo, abbiamo voluto fare e ricevere un regalo enorme a noi due e alla nostra famiglia. Con un misto di coraggio e di incoscienza stiamo sperimentando il salto dal pari al dispari, lo sbilanciamento che mette definitivamente i genitori in condizione di inferiorità numerica, alla ricerca di nuovi equilibri da cercare e creare con fantasia e sacrificio.
Al di là di chi con un mezzo sorriso ci chiede “Cercavate la femmina?” spingendoci verso un quarto tentativo che al momento non è previsto, alcuni amici o conoscenti dichiarano di ammirarci senza invidiarci. Noi, che conosciamo diverse famiglie che ci hanno preceduto sulla strada del cinque, non ci sentiamo speciali. Siamo anzi ben consapevoli che far crescere amorevolmente tre figli richieda un grande impegno emotivo: c’è tutta la fatica dell’educazione, la stanchezza fisica che annulla in un attimo i migliori intenti; ci sono i veri e propri sbagli, e con tre figli questi errori sono inevitabilmente più numerosi.
Ci sono poi gli aspetti logistici che, non essendo noi in possesso di risorse economiche illimitate né ingenti, ci portano e ci porteranno sempre più a compiere scelte precise quanto allo stile di vita: saremo costretti a ritornare all’essenziale, quando forze e denaro sembreranno non bastare. In ogni caso sarà un ottimo modo per ricordarci come volevamo vivere la nostra vita insieme. Già oggi la nostra famiglia sta diventando un ottimo campo educativo per i figli che già in casa conoscono la ricchezza della diversità di capacità e limiti, ed imparano (forse) la negoziazione. Molti dei valori che vorremmo trasmettere ai nostri figli e tenere ben presenti per noi stessi hanno modo di emergere in modo occasionale, e non occasionato.
Concludendo con uno slogan: essere in cinque in famiglia non ha prezzo, per tutto il resto c’è la provvidenza!    

Silvia e Ludo

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