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Storie di genitori, storie di figli

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TANTE GAMBE E BRACCIA IN PIU’

Il percorso della nostra famiglia parte da un primo incontro, bello e sorprendente: quello di due giovani che, quasi d’improvviso, in una serata piena di emozioni scoprono che ciò che può essere una battuta simpatica potrebbe diventare verità concreta.
In quella sera di circa 15 anni fa si incontrano Monica e Antonio e quest’ultimo, chiacchierando di tante cose, butta là una battuta: “Mi piacerebbe nella vita avere tanti figli … ma è difficile incontrare una donna che abbia tanto coraggio …”. Era il loro primo vero incontro e Monica invece di inorridire ripose: “Chissà … non mi sembra una cattiva idea …”.
Di qui inizia la nostra grande camminata insieme: dopo due anni dalle nozze arriva Francesca. Il parto è piuttosto facile e veloce.
Con lei abbiamo sperimentato la gioia enorme di sentirci davvero chiamati, per una scelta vera ma mai del tutto consapevole, ad una missione bellissima e faticosa: quella dei genitori.
E’ Francesca che ci fa sperimentare le prime grandi gioie e le notti insonni, lo sconforto di quando “non riesci mai a capire se i bimbi piccoli stanno bene o soffrono, se hanno mangiato abbastanza, se hanno dormito abbastanza… avrà mal di denti, avrà mal di pancia, avrà caldo, avrà freddo …”.
Poi doveva, secondo una scelta di coppia meditata, arrivare il secondo figlio e invece … dopo due anni di tentativi … niente. E così proviamo la grande difficoltà di sentirci impotenti nei confronti del nostro corpo che pensiamo sempre di poter gestire a seconda dei bisogni. Ma era necessario fare un grosso respiro, restare tranquilli e credere e credere ancora.
Il premio arriva dopo altri due anni, quasi casualmente, con Giacomo, che con i suoi due occhioni è ancora oggi il più espressivo e giocondo della famiglia.
Un parto molto duro che ci fa dire: bene così … abbiamo concluso.
E invece il “tarlo” di quella frase di tanti anni prima ha continuato a lavorare “di nascosto” e dopo altri cinque anni da Giacomo, come se ci fossimo fatti un regalo è arrivato Alberto che di tutti è il più prorompente già dai primi attimi di vita: arriva come una tigre scatenata e invece di piangere parla e borbotta.
Ci mette alla prova tutti giorni, anzi tutte le ore. Ci avevano detto che il terzo cresceva da solo, che sapeva già fare tutto perchè imparava dagli altri due, che i grandi ci avrebbero dato una grossa mano, invece è quello che ha fatto saltare gli equilibri precedenti per formarne di nuovi.
Spesso la stanchezza quotidiana ci pesa tanto e spesso non si riesce a “guardarsi negli occhi”, come una coppia ama fare quando uno dei due ha bisogno di sentire, forte, il sostegno e l’amore dell’altro.
Se ci guardiamo allo specchio è difficile descrivere l’effetto che questi bimbi, che oggi hanno 10, 6 e 1 anno e mezzo, hanno portato nella nostra coppia.
A volte la mattina del sabato o della domenica riusciamo a fermarci un po’ e a capire che ci nutriamo per davvero l’uno delle cose dell’altro e che tutti insieme siamo una forza grandissima.
Tante altre volte ci chiediamo se abbiamo fatto e stiamo facendo bene: ma questa domanda dovremo porcela ancora e poi ancora! La risposta sta in tutti i giorni nei quali uno dei nostri bimbi dorme fuori casa (dai nonni, da un amico): ci sentiamo azzoppati e solo al suo ritorno ci sembra ritornata la gamba che ci mancava … Ecco per noi la prova di quanto abbiamo fatto bene!
Abbiamo tante gambe e braccia in più, che ci aiutano a sostenere le grandi prove della vita.

Monica e Antonio

 

ASPETTIAMO UN FIGLIO (E ASPETTA, ASPETTA, ASPETTA…)

È verissimo, come sapevamo da varie fonti, che genitori si diventa prima di tutto nella mente: cioè a un certo punto della vita matura dentro di noi (non in tutti!) quello spazio indispensabile ad accogliere un figlio, dove lo si concepisce a livello molto profondo nella propria persona, sentendosi pronti a cambiare per sempre radicalmente orizzonti e priorità. Di qui al concepimento biologico possono trascorrere tempi diversissimi a seconda delle situazioni individuali. Ad esempio si può essere pronti mentalmente ma non avere un partner, oppure essere in coppia ma raggiungere questa disposizione in momenti non coincidenti o infine sentirsi entrambi pronti ma trovarsi a fare i conti con una cicogna in letargo.
Noi abbiamo sperimentato questi ultimi due casi e onestamente possiamo dire che non è stato semplice. Ora che nostro figlio inizia a parlare e camminare, ripercorrere alcuni dei passaggi che ci hanno condotto a lui è meno doloroso e lo condividiamo volentieri.
Da noi, per un tempo che nell’equilibrio del matrimonio è stato molto lungo, la madre potenziale non si sentiva pronta e il padre in attesa si sentiva frustrato in un suo desiderio profondo. Questo disallineamento è stato vissuto all’inizio come qualcosa che si sarebbe risolto da sé; poi però si è innescato un corto-circuito tra la necessità femminile di arrivare serenamente - e lentamente - al momento “giusto” e l’incalzare maschile alimentato dall’aspettativa sempre rinviata e dall’avanzare del famigerato orologio biologico. È stato necessario chiedere aiuto all’esterno, a qualcuno che potesse guardare con occhi imparziali alle esigenze di entrambi, coglierle appieno nella rispettiva legittimità e rinviarle a noi dopo averle mediate. Senza questo intervento salvifico non ne saremmo usciti da soli, perché purtroppo i nostri vissuti personali ci inducevano ad addossarci reciprocamente il torto.
Superato questo primo notevole scoglio, arrivata la stagione di provare davvero a concepire un figlio, ecco presentarsi un nuovo cimento per gli sposi non più novelli: la diagnosi, per entrambi, di parziale “infertilità”, come oggi si dice garbatamente per lenire la pena che ne deriva. Abbiamo sperimentato che non c’è miglior cura, anche in questo frangente, dell’aprirsi con persone terze (ed esperte) rispetto alla coppia che, nella sorpresa e nello sgomento per un improvviso sbarramento verso il futuro, finisce inevitabilmente per chiudersi in sé stessa. Fra le molte conseguenze non gradevoli di tali circostanze c’è quella che per noi è stata forse più dura, ovvero sentirci “insterilire” dentro, come se ci venisse sottratta linfa vitale. Che sconvolgimento, poi, provare autentica gioia per i figli degli amici, vivendo al contempo la tristezza di sentirci sempre più indietro e anche un po’ diversi. E che fatica rispondere con cortesia alla domanda invadente: “E figli? Ancora niente?”…
La nostra coppia, testimoniamo oggi con gioia, si è fortificata e cementata nell’affrontare questa prova, forse anche grazie al fatto che la diagnosi riguardava entrambi e quindi nessuno dei due poteva nutrire sensi di colpa verso l’altro o, peggio, ostilità. A noi gli angeli sono venuti in soccorso proprio quando avevamo ormai gettato la spugna. Le aspettative erano quasi del tutto azzerate e quindi anche lo stress emotivo infinitamente ridotto: chissà se è stato proprio questo elemento a sciogliere tutte le tensioni e a portare la cicogna ad un insperato risveglio?


Filippo e Anita

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