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Lunedì, 12 Maggio 2014 01:49

Punto Familia, città e chiesa a confronto

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Punto Familia ha chiesto all’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia e al Vice Sindaco Elide Tisi di confrontarsi sul tema della famiglia.

Si sono concluse con un evento insolito le celebrazioni (ma il termine è presuntuoso) del 50° anniversario del Punto Familia. Dopo il pomeriggio festoso del 2 giugno 2013 presso l’oratorio di Madonna delle Rose e il seminario formativo sulla “Fragilità della coppia” del 12 ottobre, l’11 febbraio 2014 si è svolta presso il Sermig una serata rivolta a tutta la cittadinanza: le massime autorità torinesi in campo civile ed ecclesiale, cioè

il sindaco (rappresentato dalla Vice Sindaco nonché Assessore alle politiche familiari Elide Tisi) e il vescovo mons. Cesare Nosiglia hanno accettato la proposta di Punto Familia di confrontarsi sul tema della famiglia. Moderatore e ‘provocatore’ l’amico Franco Garelli, sociologo, che ha aperto la serata ricordando il paginone comparso la mattina stessa sul quotidiano torinese La Stampa, dedicato alla storia del Punto, a firma di Maria Teresa Martinengo. Parafrasando il titolo dell’articolo, Garelli ha avviato la riflessione a partire dalla domanda: com’erano le famiglie 50 anni fa? Si era nei favolosi anni 60, anni di effervescenza collettiva.

 

A Torino nascevano esperienze di grande rilievo: il Sermig, il Gruppo Abele, il nucleo di Bose con Enzo Bianchi, che esprimevano la vitalità civile e della Chiesa di base, nazionale e locale. Erano gli anni del Concilio e del post Concilio, di padre Pellegrino. Stato nascente anche del Punto Familia: fondamentale in questa realtà il ruolo dei laici, grande intuizione di padre Ferrua, padre Muraro, suor Germana, religiosi che non temono il protagonismo dei laici. Dalla presenza e professionalità dei laici nasce il cocktail di Punto Familia. La famiglia teneva, ma c’era l’esigenza di diffondere la cultura della famiglia attraverso percorsi di formazione rivolti anche ad operatori. Garelli ha ricordato il lungo elenco di attività promosse da Punto Familia, “ma – ha precisato - non siamo qui solo per una memoria e per congratularci per il bene che è stato fatto, ma per testimoniare la capacità dei protagonisti di perpetuare nel tempo un modo costruttivo di stare con fedeltà al periodo storico”.

L'intervento del Vescovo

Mons. Nosiglia è entrato nel tema sottolineando come, pur nel cambiamento avvenuto in questi 50 anni, riguardo alla famiglia rimangano alcuni punti fermi, tra cui proprio la nostra Associazione: “Punto fermo”, ha ironizzato.“Siete realtà significativa e importante nel contesto della Diocesi torinese”. L’arcivescovo ha ribadito il valore della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, “fonte prima della generazione, garanzia del futuro. Famiglia garantita da una serie di norme e di itinerari formativi”. Ha ricordato che, pur essendo nata la nostra Costituzione in un periodo in cui esistevano i blocchi ideologici contrapposti, i padri costituenti avevano trovato un accordo nell’esprimere il favor verso la famiglia (artt. 29 e 31.), riconoscendo in essa “un capitale relazionale che supera il collettivismo e l’individualismo”.

L’unità familiare è superiore al diritto dei singoli coniugi: “un soggetto comunitario che esprime la realtà del bene comune. Dove ci sono famiglie stabili e forti c’è una cittadinanza stabile e forte che garantisce progresso e crescita anche della società”. La famiglia è una realtà primordiale che va ben oltre i pronunciamenti di qualsivoglia religione e lo stesso dicasi del matrimonio. Possiamo partire dalla rivelazione biblica (“Fin dall’inizio della creazione fu così”) e dalla nostra tradizione, ma anche da una dimensione laica, dalla natura stessa dell’uomo/donna. “Non è una questione dei cattolici” ha affermato.”

I cambiamenti sono importanti, ma non dobbiamo intaccare le fondamenta, se no la casa crolla. Semmai dobbiamo renderle più solide. La famiglia deve avere dei punti fermi: se no si rischia la frammentazione, la proliferazione della stesso termine ‘ famiglia’. Chiamiamo diversamente le aggregazioni che non sono famiglia, bisogna avere il coraggio di dire che si tratta di qualcosa di diverso”. Di fronte a queste realtà Nosiglia ha sottolineato l’importanza di proporci con una serie di ‘sì’ anziché con una serie di ‘no’. Siamo immersi in una cultura “che accentua le critiche verso punti importanti ma che se non sono inseriti nello schema teologico e nel contesto biblico, umano, antropologico sembrano solo una serie di no”. Dobbiamo invece proporre la dinamica proposta/risposta, valorizzando la bellezza della proposta cristiana del matrimonio e della famiglia: “c’è qualcosa a cui puoi tendere per rendere più sicura la relazione e per darle riferimento fondativo del suo esistere”. La coppia non è una serie di individui, ma un unum da cui scaturisce la vita.

Il rapporto con il padre e con la madre costituisce la base fondamentale che condiziona la vita futura. Uomini e donne, e anche cristiani, si diventa in famiglia, “esperienza di comunione, di confronto, di dialogo, di unità, di impegno, di dono, di gratuità. Se non riusciamo a riportare nelle famiglie l’aspetto dell’educazione alla fede, - ha proseguito l’arcivescovo - come possiamo trasmetterla alle generazioni future? La famiglia delega la parrocchia, come fa con la scuola per la cultura”. Invece l’educazione all’amore, al rispetto, al dialogo, alla ricerca della vocazione, alla sessualità comincia fin da bambini.

L’attuale pastorale frammentata (dei giovani, dei genitori, degli sposi, degli adulti, degli anziani, ecc.) non aiuta a costruire una famiglia soggetto, anche dal punto di vista sociale. “Quando incontri una coppia che chiede, per esempio, il battesimo, pensi di dover fare dei corsi, ma non ti interessi se ha lavoro, se c’è un disabile, un anziano… Una famiglia devi conoscerla nella sua globalità, non occuparti solo dello spicchio che ti importa (il sacramento): poi se ne andrà perché non si sente accolta nella sua globalità, col suo vissuto concreto. Questo vuole papa Francesco: che ci mettiamo a disposizione per ascoltare i problemi esistenziali, concreti. Valorizziamo la famiglia come soggetto, rendendola protagonista della vita della chiesa, non oggetto, come fosse malata. A cominciare dai pastori, che devono porsi in questa prospettiva: la famiglia deve insegnare alla chiesa a diventare famiglia, cioè comunità di relazione tra persone che si accolgono.

La famiglia deve aiutare la chiesa a diventare famiglia, la chiesa deve aiutare la famiglia a diventare chiesa, in un interscambio di doni. Se mostriamo la bellezza, la positività della proposta cristiana sulla famiglia possiamo essere una luce che illumina tante scelte anche diverse”, ha concluso Nosiglia.

L'intervento del Vice Sindaco

Ha quindi preso la parola Elide Tisi, vice sindaco e assessore alla famiglia. Si è congratulata con PF per la sua capacità, non così frequente nelle organizzazioni no profit che tendono a chiudersi nella difesa di quello che si è sempre fatto, di riuscire a corrispondere ad un cambiamento di bisogni stando dentro ai processi evolutivi. A conferma, ha citato la partecipazione dell’Associazione alla Rete cittadina creata con altre organizzazioni del privato sociale che si occupano della famiglia, attraverso il Centro Relazioni e Famiglie del Comune nato molto dopo anche grazie al fatto che c’era già sul territorio questa presenza significativa di chi lavorava a fianco delle famiglie. “Questa Rete – ha spiegato Tisi - si è sviluppata per cercare di arrivare un po’ prima anche rispetto a situazioni di rottura: questo è uno dei fiori all’occhiello della città, si parla spesso di famiglia ma si rischia di non andare oltre le parola.

Per esempio nella sede del CRF c’è anche il Centro Antiviolenza, che vuol dare sostegno e aiuto psicologico, morale e anche economico soprattutto alle donne in queste situazioni dolorose.” Elide Tisi ha concordato con il vescovo riguardo all’opportunità di “trovare altre parole per definire quei nuclei che anche la legge definisce familiari e che anche culturalmente sono altro rispetto alla famiglia classica, tradizionale”.

Ha poi raccontato di aver svolto, all’inizio del suo mandato di assessore, un’indagine statistica per verificare com’era la composizione delle famiglie a Torino e di aver constatato che la famiglia ‘tradizionale’ (padre, madre, figli) è il 20% della totalità, con un trend in calo a vantaggio delle famiglie monogenitoriali e delle persone sole. Dato che fa riflettere soprattutto rispetto a 50 anni fa, quando la famiglia spesso comprendeva due o più generazioni. “Come amministratori – ha proseguito - non possiamo esimerci dal considerare questi dati di una realtà che ci interroga profondamente e ci richiama alla necessità di costruire una rete di relazioni che riescano a rendere accettabile la qualità della vita per anche per le persone che vivono in contesti diversi dalla famiglia tradizionale, con elementi di disgregazione forti.

Bisogna lavorare sulle relazioni, creare le condizioni perché le famiglie possano avere risposte ai loro bisogni; molti sono anziani che non hanno più intorno le loro relazioni affettive e di sangue. La politica dovrebbe interrogarsi sui costi sociali di questa disgregazione: in molte famiglie non c’è neppure lo spazio per ospitare l’anziano che è rimasto solo. Torino assorbe una quantità notevole di risorse per l’assistenza domiciliare agli anziani: qui ci sono bisogni a cui in altri contesti, per esempio quelli rurali, si risponde in altro modo”. La Tisi ha poi ripreso anche l’esortazione di Nosiglia a sostenere la famiglia non solo a parole, ma facendosi carico della sofferenza che spesso esiste al suo interno: problemi economici, di lavoro, di un membro disabile … “Il miglior aiuto – ha affermato - è che ognuno faccia bene la propria parte: la scuola, i servizi alla prima infanzia, i servizi di sostegno alla disabilità …”

Ha poi osservato che la potenzialità economica della famiglia italiana è forse stata sopravvalutata: molti pensionati sostengono tutto il nucleo familiare: i figli 50enni che hanno perso il lavoro e i nipoti che non l’hanno ancora trovato. “Occuparsi di famiglia vuol dire toccare tutti questi temi – ha proseguito -. Non dobbiamo nasconderci i problemi, far bene ognuno la propria parte e non sfuggire alle responsabilità. Le fragilità delle famiglie sono tante. Come assessore sono tutore pro tempore di 500 bambini, segno di tante famiglie che fanno fatica. Ci sono però quasi 700 bambini in affidamento presso 300 famiglie straordinarie che si fanno carico di questi bambini e aprono le loro case all’accoglienza. Siamo la prima città che è riuscita a non mettere più in comunità i bambini in età scolare formando un gruppo di famiglie specializzate nell’accoglienza dei bambini piccoli e piccolissimi, anche i neonati non riconosciuti dalle mamme. Spesso il bene fa poco rumore, ma è compito di tutti dargli più rilievo e far emergere quanta capacità di dare amore ci sia in molte famiglie”.

Le conclusioni

Garelli ha rilanciato, facendo sintesi dello scenario familiare emerso anche dalle due relazioni: in questa situazione di fragilità, di coppie/famiglie che non si riconoscono nella famiglia tradizionale troviamo anche molte risorse. “Non c’è un’assenza di valori, ma un modo diverso di coniugare i valori, esperienze positive di solidarietà e di gratuità”, ha affermato, citando anche papa Francesco che ha mostrato una preoccupazione di tipo pastorale, umano ed educativo: queste persone e famiglie che sono fuori del recinto della chiesa rischiano di non ricevere l’annuncio del Vangelo.

Come valorizzare queste risorse? Come fare perché non si perda il raccordo, il dialogo e il confronto con queste persone? Ha poi lanciato una provocazione a padre Muraro: “Come ha vissuto il Punto Familia i momenti cruciali nel passato? Come risponde a questa situazione attuale? “ “Rispetto al passato non incomincio dal 63, ma dal 78 – ha risposto padre Muraro -. Siamo nel decennio della strategia della tensione. Nap, Brigate Rosse, rapimento e uccisione di Moro: quanto si è sofferto per questa lacerazione della società! Ma, anche, quante grandi risorse in quegli stessi anni – ha affermato, rifacendosi alle figure e alle istituzioni esemplari citate da Garelli in apertura - : uomini di pace che non volevano costruire distruggendo. Nella sala congressi della Cassa di Risparmio il Punto Familia aveva promosso un incontro col sindaco Diego Novelli, il sociologo Campanini, la giornalista Anna Maria Bonanate, la ricercatrice Anna Bova, ponendo un interrogativo: che posto ha la famiglia in questa strategia della tensione, di conflittualità permanente? Novelli aveva risposto ricordando le case di ringhiera: qui le famiglie comunicavano. In quegli anni il cardinal Pellegrino scriveva l’aurea proposta del ‘Camminare insieme’.

Sia la parte cattolica che quella civile e politica avevano scoperto che la famiglia è il luogo della concordia, della solidarietà, dell’amore. Potenziare la famiglia nelle due dimensioni della totalità (amo tutta te con tutto me stesso per sempre) e della gratuità, ecco il rimedio: con questi due elementi la famiglia educa le persone all’amore. Nessun altra comunità comprende al proprio interno quattro tipi diversi di amore che si potenziano a vicenda: sponsale, genitoriale, filiale, fraterno”. E oggi? Padre Muraro ha evidenziato i due elementi alla base della strategia del PF: la realtà e la realizzazione storica della realtà. “La famiglia – ha proseguito - ha un nucleo di valori (uomo e donna legati da un rapporto di fedeltà totale aperta alla procreazione e alla società).

Attorno a questo nucleo fondante possiamo inventare modalità nuove, ma sono le relazioni che formano il capitale affettivo della famiglia, luogo della prima personalizzazione e della prima socializzazione, unica realtà in cui si sviluppa una dinamica di amore, mentre nella società si sviluppa una dinamica di giustizia (quando si riesce). Nella famiglia non ci sono diritti e doveri, ma bisogni di vita e risposta ai bisogni di vita, che è la dinamica propria dell'amore. Questo forma il nucleo fondamentale della famiglia. Ogni tipo di relazione permette una crescita delle persone, ma noi riteniamo che la migliore, la più intensa, costruttiva, che risponde ai bisogni di vita più profondi, non solo ai diritti/doveri, sia solo l’amore che si impara in famiglia. Nessuno può amare se prima non è stato amato e chi ha introiettato questo poi lo esprime agli altri.

Se ‘relazione’ = ‘capitale affettivo’, tutto quello che permette di realizzare il capitale affettivo noi lo promuoviamo”. Mons. Nosiglia ha sottolineato che anche alla famiglia alternativa a quella tradizionale va data fiducia facendola sentire parte della comunità, anche se ci sono livelli diversi di appartenenza. Similmente, a livello di ecumenismo una volta si parlava di ‘fratelli separati’, ora si dice che siamo tutti parte del popolo di Dio, con l’esigenza comune di maturare insieme nella conversione. “Soprattutto verso chi cerca la comunità bisogna essere accoglienti e far capire che fanno parte della chiesa: siamo una comunità di peccatori (come diciamo nel confiteor), non di santi. Dobbiamo essere attenti alle diverse situazioni, accompagnare lasciando il tempo ad ognuno di fare il proprio cammino. Qui ci vuole l’impegno di altre famiglie cristiane che si avvicinino, cerchino di stabilire il dialogo, facciano vedere che non hanno remore, barriere.

Oggi molti Gruppi Famiglia delle parrocchie accolgono coppie di conviventi, di divorziati risposati. Non bisogna pensare sempre al prete, le famiglie possono fare da ponte e poi si spera che arrivino dall’altra parte del ponte, cioè alla vita piena della comunità”. Il vescovo ha ribadito come l’attenzione all’umanità della persona non debba mai trasformarsi in giudizio: sarà il Signore a dare la forza di cambiare certe situazioni, chi si sente giudicato si chiude il dialogo. Elide Tisi ha portato due riflessioni su situazioni di sofferenza infantile. “Che la prima esperienza di amore si faccia in famiglia – ha detto - lo vediamo concretamente nei bambini seguiti dai Servizi Sociali che hanno disturbi del comportamento: molti loro problemi derivano dal non aver ricevuto attenzione e amore nei primi anni”. La seconda riflessione: ci sono famiglie straniere con modelli educativi e culturali molto diversi dai nostri.

“Ci hanno chiesto come mai non togliamo alle famiglie rom i bambini che giocano sporchi in mezzo al fango e ai topi; come mai allora non togliere i bambini alle famiglie ‘perbene’ che li parcheggiano tutto il giorno davanti a video o play station perché nessuno ha tempo per loro? Rimettere al centro la famiglia – ha concluso - non è solo uno slogan, ma è assolutamente necessario”. Alla rapida sintesi conclusiva il sociologo Garelli ha aggiunto che la famiglia in Italia gode ancora buona salute, come risulta in tutti i sondaggi dei giovani (quella d’origine, che riconoscono come punto di riferimento). Le famiglie sono un ammortizzatore, un elemento di stabilizzazione; in altri paesi non è così. Il problema sta in questo: quanto tutti noi riusciamo ad attivare queste risorse in vista di un bene relazionale, cioè di un bene comune.

A cura di Mariella Piccione

Letto 54490 volte Ultima modifica il Lunedì, 12 Maggio 2014 02:12

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